Da dove arriva questo
terrone?
La storia del nostro paese
è caratterizzata dalle onnipresenti divergenze tra nord e sud, due
aree diverse che spesso si sono arrese agli stereotipi senza
risparmiarsi epiteti poco felici. Tra questi la fanno da padrone
polentoni e terroni, che al Nord suona terùn.
Risulta difficile
stabilire in che periodo questi vocaboli sia entrati nell’uso come
epiteti dispregiativi. Bruno Migliorini in Parole e Storia (1975)
scrive: «le polemiche fra Nord e Sud, risorte come risorgono in
famiglia nei tempi difficili, hanno divulgato due epiteti che già i
soldati popolarmente adoperavano: quello di terroni e di polentoni. I
meridionali chiamano polentoni quelli del Nord, dove è frequente
l’uso della polenta, mentre questi ultimi chiamano i meridionali
terroni, cioè abitanti delle “terre ballerine”, soggette ai
terremoti».
Se sull’origine e il
significato di polentone i principali dizionari della lingua italiana
(GDLI, GRADIT, GARZANTI, Vocabolario Treccani, Sabatini-Coletti e
Grande Dizionario italiano Hoepli) sono concordi con quanto afferma
il Migliorini, sull’origine di terrone le posizioni sono diverse e
poco chiare.
Perché terroni? Da dove
arriva e cosa vuol dire questa parola?
Il vocabolo viene
registrato per la prima volta da Bruno Migliorini nell’appendice al
Dizionario moderno di Alfredo Panzini nel 1950: “Terrone: così gli
italiani del settentrione chiamano gli abitanti delle regioni
meridionali (più o meno, da Roma in giù)”.
Secondo le notizie che ci
fornisce il GDLI, la voce nasce appunto nei grandi centri urbani
dell’Italia settentrionale con valore di ‘contadino’ (come
villano, burino e cafone) e usata, in senso spregiativo o scherzoso,
per indicare gli abitanti del Meridione in quanto il Sud era una
regione del nostro paese caratterizzata da un’agricoltura
arretrata. Ma il dizionario, notando che la parola risulta un
composto di terra con il suffisso -one (con valore d’agente o di
appartenenza), riporta altre possibili etimologie: «come frutto di
incrocio fa terre[moto] e [meridi]one; come “mangiatore di terra”
parallelamente a polentone, mangia polenta “italiano del nord”;
come “persona dal colore scuro della pelle, simile alla terra”;
o, ancora, come “originario di terre soggette a terremoti” (terre
matte, terre ballerine)».
Il DELI, oltre a
registrare le stesse interpretazioni del Battaglia, segnala la
presenza del cognome Terronus a Caffa (città della Crimea che fu
colonia genovese dopo il 1266) portato da due notai nel 1344 e
ipotizza che voglia dire “della Terra (del lavoro)” e il
possibile legame con lo spagnolo terrón 'zolla'.
Possiamo constatare che il
cognome risulta ancora oggi diffuso; nel nostro paese con due
varianti Terroni (con una principale distribuzione nel nord Italia,
in particolare in provincia di Parma) e Terrone (con concentrazione
maggiore in Puglia e Campania e altre regioni dell’Italia
settentrionale), mentre in Francia è possibile trovare Terrón con
varianti come Therond, Teron e Terrony. L’origine storica del
cognome, come già ricordato dal GDLI, risale al XIV secolo con
attestazioni anche nel XVII secolo. Si può ipotizzare che si sia
affermato partendo dall’estensione del significato di terrone (e
tutte le sue varianti formali) da semplice ‘contadino’ a
‘proprietario terriero’, come sembra confermare la presenza della
famiglia Terron nella nobiltà francese del Seicento che annovera nel
suo albero genealogico un certo Charles Albert du Terron, signore di
Terron, di Bourbonne e di Torcenay morto nel 1684 all’età di 56
anni dopo aver prestato valoroso servizio alla corona francese.
Questa forte presenza del
cognome ci porta a dubitare che l’appellativo terrone possa avere
un’etimologia recente, anche se è certo che nell’accezione con
cui oggi lo conosciamo ha origine nel XX secolo (per il GRADIT la
prima attestazione è del 1950 e si riferisce probabilmente alla
registrazione miglioriniana sopra ricordata; 1945 la data
dell’Etimologico di Nocentini, che lo spiega come “der. di terra
nel senso di ‘legato alla terra, che lavora la terra’, ritenuta
condizione di inferiorità sociale e culturale”).
Sul Vocabulario Español e
Italiano di Lorenzo Franciosini "fiorentino" del 1638,
sotto la voce terrón è possibile leggere: “- è propriamente quel
pezzo di terra, che in arando divide il vomero, che noi diciamo zolla
o mozzo. Destripa terrones - è un epiteto, o titolo, col qual si
chiama un villano, o contadino, e vale, rompi mozzi, o zolle”.
Questa testimonianza dell’uso di destripa terrones come epiteto per
indicare un contadino potrebbe suggerire l'ipotesi che le varianti
dei cognomi, così tanto diffusi in Europa, derivino per ellissi da
questa accezione. Curioso risulta riscontrare che la parola terrón,
sempre nel vocabolario di Lorenzo Franciosini, usato metaforicamente
come ‘cumulo di terra’, veniva utilizzato nella locuzione “Ser
un terron de lisonjas”, che vuol dire ‘sei un cumulo di
lusinghe’. Quest’uso è confermato da un altro vocabolario, il
Tesoro de las dos lenguas francesa y española del 1612 del francese
Cesar Oudin che sotto la voce terron riporta: “motte de terre,
gazon. Eres un terron des lisonjas, tu es un tas de flatteries”.
L’uso nell’accezione
spregiativa risulterebbe testimoniato da una lettera scritta da
Gilles De Gastines ad Antonio Magliabechi nel 1693 da Napoli:
Illustrissimo Signore e
Padrone colendissimo.
Quattro settimane sono
scrissi a Vostra Signoria illustrissima e l’informai del brutto
tiro che ci fanno questi signori teroni di volerci scacciare dal
partito delle galere, contro ogni equità e giustizia, già che ho
lavorato tant’anni per terminarlo, e ora che vedano il negozio
buono lo vogliano per loro.
Amedeo Quondam e Michele
Rak, nella loro edizione delle Lettere dal Regno ad Antonio
Magliabechi (1979), ci informano che l’autore della lettera era un
mercante francese che si occupava del traffico librario tra Napoli,
Livorno e Firenze e che tra il 1693-1694 dovette prolungare la sua
permanenza a Napoli per risolvere alcune complicazioni nei rapporti
con la burocrazia napoletana. Gilles De Gastines non risparmia
considerazioni negative sul Regno borbonico scrivendo: “in questo
paese non si trova candidezza e la maggior parte della gente non
trattano che con doppiezza”. Quasi certamente quando scrive questi
teroni non si riferisce ai napoletani in genere, ma, come
suggeriscono i due curatori, il riferimento potrebbe essere a
personaggi che appartengono a vario titolo ad aggregazioni di potere
della città partenopea. E appare in modo chiaro che il riferimento a
questi signori ha una connotazione dispregiativa (d’altronde
volevano estrometterlo da un negozio). Il GDLI riporta questa unica
attestazione a supporto di terrone con il significato di
‘proprietario terriero’ (dedicando un’entrata a questo
significato, oltre a quella di terrone con il significato di
‘abitante del sud Italia’) ma, così come affermato appena sopra,
a una lettura più attenta l’occorrenza potrebbe avere un
significato diverso da quello riportato a lemma.
Tutti questi indizi
possono avvalorare l’ipotesi che l’origine della parola terrone
sia molto antica vista la sua presenza (con significati diversi ma
simili) in italiano e in francese, spagnolo e anche portoghese.
È certamente un derivato
di terra che, indicando in prima istanza un ‘cumulo di terra
derivante dall’aratura’, venne probabilmente usato in seguito
come nome per i contadini, fino a divenire un cognome. E l’uso di
terrone, in quanto contadino, con valore dispregiativo, si
affiancherebbe a parole come villano e cafone.
Col passare del tempo la
parola sembra che abbia perso, almeno nell’area settentrionale
dell’Italia, il significato di ‘cumulo di terra’, ‘zolla’
per polarizzarsi sul senso di ‘colui che zappa la terra’
(probabilmente per analogia con altri sostantivi terminanti in -one,
come accattone, bacchettone, chiacchierone, dormiglione, fannullone,
imbroglione…). Nel sud Italia questa parola non risulta attestata
nell’uso.
Si possono sostenere due
ipotesi: la prima è che il vocabolo venisse usato con il valore di
contadino, senza una connotazione marcatamente negativa, e dunque
utilizzato per rivolgersi agli emigrati dal Sud in quanto lavoratori
agricoli; la seconda è che la parola terrone fosse già in uso nelle
regioni del nord Italia con connotazione negativa e dunque
l’appellativo sarebbe nato come insulto rivolto a chi assumeva un
comportamento rozzo riconosciuto tipico dei contadini.
Dal frequente uso sono
nate parole derivate da terrone; Bruno Migliorini, ancora nel suo
Parole e storia, ci informa che durante la seconda guerra mondiale “a
Trento si coniò persino Terronia per indicare l’Italia
meridionale, principale fornitrice di burocrati e di poliziotti”.
Il termine Terronia è stato registrato dal GDLI (che riporta la
citazione di Migliorini) e dal Grande Dizionario Hoepli. Il Battaglia
registra anche l’aggettivo terronico per indicare ciò ‘che si
riferisce a, che riguarda i terroni, i meridionali’ mentre nel
GRADIT di Tullio De Mauro è possibile trovare il sostantivo
terronese, glossato come scherzoso, e usato per indicare ‘la
varietà meridionale di italiano’.
Oggi la parola terrone sta
avendo una “rivalutazione” in senso positivo. Questo cambio di
rotta è riscontrabile nell’uso che il sostantivo ha nelle varie
pagine social, curate dagli studenti meridionali che vivono nel
settentrione d’Italia, i quali ironizzano sugli stereotipi che
negli anni passati hanno nutrito diffidenza e razzismo così da
favorire un reale uso scherzoso della parole terrone e dei suoi
derivati.
L’uso odierno sta
ulteriormente estendendosi così da essere utilizzato nei confronti
di qualsiasi individuo proveniente da sud in genere (es. un toscano
in relazione a un piemontese), ricordandoci che il posto di ciascuno
nel mondo è relativo e, parafrasando Luciano De Crescenzo in Così
parlò Bellavista, che in fondo siamo tutti un po’ terroni.
Per approfondimenti:
Corominas Joan, Diccionari
Etimològic i Complementari de la Llengua Catalana, Barcellona,
1980-1991
Franciosini Lorenzo,
Vocabulario Español e Italiano, Roma, en la Emprenta de la Reu.
Camera Apostolica, 1638
Migliorini Bruno, Parole e
Storia, Milano, Rizzoli, 1975
Oudin Cesar, Tesoro de las
dos lenguas Francesa y Española, Parigi, chez la veuve Marc Orry,
1616
Quondam Amedeo e Rak
Michele (a cura di), Lettere dal regno ad Antonio Magliabechi,
Napoli, Guida, 1978
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