IL SERVIZIO POSTALE IN SICILIA


IL SERVIZIO POSTALE IN SICILIA
Il servizio postale in Sicilia con vetture corriere di: Giuseppe Marchese Il 1800 si presenta compunto e serioso. Siamo in pieno risorgimento italiano accompagnato dall'età del progresso. Quali migliori auspici per un fulgido avvenire. L'avvenire si presenta alquanto difficile per chi si accinge a viaggiare, a cominciare dall'esistenza delle strade cavalcabili e poi carrozzabili. Nel primo settecento è Napoli a indicare il confine dell'Italia "percorribile", ma nella seconda metà del '700 la cultura europea, e quindi i viaggiatori che ne facevano parte, furono attratti dall'aura di "grecità" che proveniva dall'isola, e anche dalla sua posizione geografica vicina a Malta dove molti pellegrini e viaggiatori si indirizzavano per visitare la città sede dei cavalieri Gerosolimitani, poi comunemente indicati col nome di "cavalieri di Malta". Certo i giudizi non erano sempre elogiativi. Ogni viaggiatore descriveva di ciò che accendeva la sua fantasia, o il suo interesse. Gli scritti di quelli che "avevano visto" intrigavano quelli che decidevano di intraprendere il gran tour e il passa parola del tempo fece si che la Sicilia si trovò meta di viaggiatori adeguatamente motivati e che hanno lasciato, in complesso, una buona descrizione dei loro viaggi. Il periodo è tra l'altro quello più idoneo allo scambio culturale che la Sicilia si apprestava a iniziare. Era re di Napoli e di Sicilia Carlo III, uomo che seppe dare un impulso a Napoli e di conseguenza alla Sicilia. Fu il re che promosse gli studi archeologici, avviati gli scavi di Pompei ed Ercolano e inizia la costruzione della reggia di Caserta. Ma la Sicilia non era pronta al grande appuntamento, che si manifestò con una accesa curiosità per questa terra misconosciuta di cui tutti parlavano bene, a cominciare da Patrick Brydone, Hermann von Riesedel, Jean Houdel, Vivant Denon, Freidrich Münster, Goethe. Nel '700 esplose il "grand tour" in cui ogni artista, prelato, nobile, o semplice viaggiatore parlava nei suoi resoconti di viaggio. Con queste premesse il prosieguo della nostra narrazione è leggermente in contrasto con quanto fin'ora detto. Il "paese indicibilmente bello", come disse Goethe, lascia il posto alla società dei commerci, dei trasporti, delle Poste e perciò i commenti dei nostri viaggiatori non potevano non mettere in relazione il sistema postale da cui provenivano con quello che stavano visitando. Il raffronto è brutale e non lascia scampo al sistema postale borbonico e all'embrione del trasporto postale con vetture corriere che si stata mettendo in piedi in quel 1838. Infatti si comincia con l'asserzione: "le strade erano rare e scomode, i mezzi di trasporto estremamente rudimentali (si andava a dorso di mulo o su scomode lettighe) ....le locande un puro e semplice nome abusivamente attribuito a poveri rifugi di fortuna, privi di tutto." (1) Ma oltre ai viaggiatori stranieri in Sicilia vi sono delle altre fonti che ci forniscono notizie sull'argomento: le guide postali per i viaggiatori. Una guida in francese viene edita a Milano nel 1829 con il titolo "Nouveau guide du voyageur en Italia" stampato da Francesco Sonzogno. Il percorso da Messina a Palermo viene indicato in miglia 155, si presume italiane, senza indicazione delle poste. L'immagine della Sicilia è insolita, spregiudicata come non si vede in una solita "guida". Ecco il passo: " Mais les forts sont mal entretenues; l'exploitation des minières est poussée lentement, ou entiérement négligée; le sol est mal cultivé; enfin les sciences, les arts, l'industrie et le commerce, favorisés par tous les avantages qu'il est possible de désirer, languissent par l'effet de mauvaises insitutions. Tel est le triste spectacle qu'offre cette le, qu'une administration bien réglée pourrait rendre une des contrées les plus riches et les plus heureuses de l'Italie". In seguito si descrive il viaggio da Palermo a Girgenti, passando per Capaci e Favarotta e incontrando Trapani, Marsala e Mazzara (ora Mazara del Vallo), di miglia 148. E' strano questo viaggio attraverso Capaci, cioè per la vecchia strada costiera e non attraverso Monreale. Tuttavia si tenga presente che quando si pubblica una guida nel 1829 il testo può essere stato scritto anche un qualche decennio prima ! Segue il percorso da Messina a Siracusa, passando per Catania, di 96 miglia, del viaggio si descrivono soltanto le bellezze monumentali. Infine il viaggio da Siracusa a Girgenti, di miglia 111, Attraverso Noto, Modica, Chiaromonte Terranova e Alicata (Licata). La "nuovissima guida dei viaggiatori in Italia", per cura di A. L. stampata a Milano presso Epicapo e Pasquale Artaria, Editori di musica, stampe e carte geografiche, senza data (intorno al 1830), è una guida colta, che non riporta notizie di seconda mano e pare, almeno si ha l'impressione, che il curatore abbia effettivamente visitato la Sicilia. Sebbene riporti nche notizie attinti da letture, come il giudizio su Trapani "...eccellenti sculture nell'avorio e nel corallo, e più per la bellezza delle donne". In Livorno, nel 1832, viene stampato il "Nuovo itinerario d'Italia" di Richard presso la tipografia e calcografia Vignozzi. Il viaggio da Messina a Palermo continua con riferimenti alle città attraversate. Passata Palermo l'Autore si dirige verso Trapani, proseguendo per Girgenti (Agrigento). L'Autore annota: "Quantunque la strada la più comoda per andare da Palermo ad Alcamo, sia quella che attraversando i borghi di Capaci, Melinasso e Favarotta, segue in quasi tutta la sua lunghezza la sinuosità della costa, nondimeno, siccome questa strada offre poco interesse al viaggiatore curioso, prenderemo quella che partendo da Palermo va quasi in linea retta ad Alcamo, passando per Monreale e Partinico." (2) L' "Itinerario d'Italia o sia descrizione di 136 viaggi per le strade più frequentate", giunge alla XXII edizione. Curato da Giuseppe Vallardi, e viene edito presso Pietro e Giuseppe Vallardi, a Milano nel 1835. In questa guida viene affrontato il problema delle strade e della loro consistenza. Vediamo: "Strade dell'isola. Le antiche furono dalle tante devastazioni dei barbari distrutte, e non ne rimangono che deboli tracce, quando sul finire dello scorso secolo e meglio sul principio dell'attuale e sotto il presente regime si costrussero, come pur sempre si prosegue con alacrità nelle incominciate opere, talchè potranno essere condotte in pochi anni al loro termine: egli è per tale motivo che non si potè stabilire finora un corso regolare di poste, al quale effetto per comodo de' viaggiatori riportiamo i viaggi per tutta l'isola, quali ci sono stati forniti dal diligente cav. G. Quattromani, e dai riscontri sulla carta generale dell'isola di Sicilia pubblicata dall'Officio Topografico di Napoli colla scorta del lavoro di Smyth. E' noto che quella Amministrazione de' ponti e strade indefessa impiega nel lavoro quantità d'operaj; laonde sperasi che in brevi anni si potrà con agevoli ed economici mezzi visitare quelle terre tanto interessanti per la storia di varie epoche e per i prodotti loro; ciò che finora non hanno potuto fare i tanti illustri viaggiatori che la percorsero. Le distanze da noi marcate in ogni viaggio di Sicilia sono in miglia siciliane di canne 720, cioè miglia quattro italiane di 60 al grado sono miglia cinque siciliane. (Il miglio siciliano è di metri 1487,16)". (3) Il lavoro continua con la descrizione sommaria delle varie corse. La Messina Palermo via marine dista miglia 153 1/2 (4) ; la Messina Catania miglia 62 (5) ; la Catania a Siracusa miglia 47 (6) ; da Siracusa a Girgenti miglia 126 (7); da Girgenti a Trapani miglia 98 (8); da Trapani a Palermo miglia 60 (9). Strano che in questo "Itinerario d'Italia" non si parli della corsa Messina – Palermo via montagne, aperta al traffico nel 1830. Sebbene si sospetti che l'Intendente di Catania sia stato troppo precipitoso nel dare l'annuncio, e la strada rotabile non sia stata ancora aperta al percorso postale, tuttavia è una realtà "in divenire" (10). Forse la moda allora imperante di compiere il periplo dell'Isola, assommato al meglio noto percorso costiero, abbia agito da catalizzatore nell'impedire la diffusione di questa novità nei percorsi isolani. Il solo pregio di questa guida e di aver sollevato il problema strade, anzi il problema delle carenze di strade, in Sicilia. Per il resto riporta notizie di città, vive o defunte, che erano e sono, di pubblico dominio. Una nuova edizione de "La nuovissima guida dei viaggiatori in Italia", stampata a Milano presso Epicapo e Pasquale Artaria, vede la luce nel 1845. Il viaggio primo, da Messina a Palermo, indica le poste così come pubblicate per il sistema postale, ma non indica che si può percorrere con vettura. Indica gli alberghi di Messina: la Gran Bretagna, il Leon d'Oro, l'albergo di Prussia. Sul percorso indica che a Letojanni i viaggiatori "devono aspettare il passaggio della corrente del torrente vicino, arrivasi alla posta". In altre parole a Leojanni vi è un torrente, ma non il ponte, per cui bisogna attraversare il fiume per poi arrivare alla stazione di posta. La stazione di posta era situata a Agrò, in seguito Forza d'Agrò, a 9 miglia da Scaletta. A Catania viene indicato l'albergo della corona di ferro; a Palermo hotel d'Albion, albergo di Francia in piazza marina, albergo del Pizzuto e l'albergo di Londra. Il viaggio secondo parte da Palermo per Trapani. Il Fiume Freddo, dopo Castellammare, ha un ponte di legno, anzi una piattaforma "solidamente costrutta". Da Palermo a Monreale è il terzo viaggio descritto, dice "...ma non lo tralasceremo facendo parte delle strade postali..". Come si nota le strade postali incentivano il commercio e attirano i viaggiatori. La strada da Palermo a Messina, per Termini e Cefalù, ha bisogno di una premessa: "Da Termini a Messina la strada carrozzabile non essendo ancora finita, il viaggio perciò non è postale e dovrà farsi a cavallo, cosa che rende preferibile quell'altro viaggio, che da Palermo va a Messina, per Catania....". A Termini finisce la strada carrozzabile. Il tratto Termini – Barcellona a dorso di mulo. A Barcellona comincia la strada carrozzabile per Messina. Di seguito viene descritto il viaggio da Catania a Trapani: "Volendo il viaggiatore fare l'intero giro della Sicilia.... bisogna che abbandoni la comodità di una strada carrozzabile, e munito di una cavalcatura imprenda il seguente cammino". In definitiva questa edizione risulta accettabile e riportata con annotazioni interessanti sull'evolversi delle strade in Sicilia. Anche i viaggiatori stranieri ci danno una mano per ricostruire lo stato delle strade in Sicilia. " Il mezzo di trasporto più diffuso era la lettiga, sorta di portantina retta da due muli (uno davanti e uno di dietro) e accompagnata da campieri. Secondo Smyth, essa si spostava alla velocità media di tre miglia all'ora" (11). G. F. Angas così descrive nel 1841 gli animali adibiti: "I muli sono il normale mezzo di trasporto. Animali che non sentono la fatica, possono percorrere fino a 40 miglia al giorno senza accusarne alcuna, per intere settimane di seguito, ma in compenso la fanno sentire ai loro cavalieri (12)". Henry Clark Barlow rincara la dose: "L'altro modo di viaggiare, meno faticoso del primo, ma non molto piacevole comunque, è in lettiga. La lettiga è una cassa di legno a forma del corpo di una carrozza e capace di contenere due persone poste l'una di fronte all'altra. Questa è sostenuta da due lunghe sbarre e portata da due muli, uno davanti e l'altro dietro; vi sono due conducenti anche essi che montano muli, uno dei quali guida la processione mentre l'altro con una lunga bacchetta a forma di lancia sta di fianco spronando ogni tanto le bestie" (13). "Visitare la Sicilia non è cosa semplice come molti possono immaginare. È facile trasferirsi da Napoli a Messina e a Palermo o, con il battello per Malta, raggiungere Siracusa, ma visitare l'isola è un'altra cosa. Attraversare la Sicilia richiede molta forza, più pazienza e ancora più indifferenza al benessere personale. Le locande sono poche, molto poche e distanziate fra di loro.... Nessuno che ha bisogno di comodità personali si affidi mai, in Sicilia, a una locanda" (14). F. Bourquelot nel 1850 riporta: "Ad onta della mancanza o del pessimo stato delle strade, delle difficoltà di trovare da mangiare e di farsi accompagnare da gente mercenaria, preferii viaggiare per terra... Luigi Rantesi s'obbligò ad accompagnarmi nel mio viaggio e a mantenere, per tutto il tempo che sarebbe durato, tre mule: una per me, una per lui, una pei bagagli e pel mulattiere incaricato degli animali..." E ancora "La nostra piccola banda si ripose in viaggio accresciuta, oltre ai precedenti mezzi di trasporto, di mule fresche e di una lettiga, cioè di un veicolo senza ruote , condotta da due mule, una dinanzi e una di dietro, e capace di contenere due viaggiatori uno in faccia all'altro. Un mulattiere a piedi armato d'un lungo bastone dirige le bestie e le eccita con le grida. Questa strana vettura, di cui si trovano disegni nei manoscritti francesi del secolo XIV, avanza, come è facile immaginare, assai lentamente; per giunta, nelle ineguaglianze del terreno, si piega pel lungo, e i sonagli che pendono dal collo delle bestie, danno un tintinnio, un rumore indiavolato" (15) Su tali buone esterne indicazioni, vediamo come si presenta il problema stradale come da indicazioni interne. "Con la prospettiva di vantaggi fiscali sperava (il Sergio) di accentuare l'interesse del governo, necessario per l'attuazione delle riforme di maggior portata, come la costruzione di una rete stradale che ponesse fine alla grave deficienza di mezzi di comunicazione dell'isola. Dalle strade dipendeva lo sviluppo del commercio terrestre e marittimo; il crescere delle industrie; l'intensificarsi delle coltivazioni; l'aumento degli abitanti. Ne sarebbe derivato anche un progresso intellettuale e morale, per la maggior frequenza di viaggiatori stranieri. Allora si sarebbero potute dare a censo "in piccole parti" le terre comuni o patrimoniali delle università e delle chiese, con gran vantaggio della produzione e degli stessi enti proprietari, che non sarebbero state più costrette a dare le terre in gabella." "..Mancò in Sicilia proprio quello spirito capitalistico che presiedette alla trasformazione dell'agricoltura settentrionale, e che caratterizza tutto il mondo economico moderno. Ne ostacolarono la formazione, da una parte la scarsezza dei capitali; la mancanza di comunicazioni interne che frantumava la vita economica in mercati assai ristretti; la difficoltà di trasformare un'economia immobile da secoli...; l'esiguità del commercio estero..." (16) il problema stradale. Dal punto di vista storico si riportano i seguenti concisi dettagli. Il problema stradale venne esaminato dal Parlamento siciliano nel 1774 e nel 1778 venne varato un piano generale delle strade che aveva come scopo la costruzione di 5 strade consolari partenti tutti da Palermo, collegando questa località a Girgenti, Sciacca, Mazzara - con un braccio per Castellammare e Trapani - Messina per la via delle montagne - con un braccio per Catania -,Messina per la via delle marine - con un braccio per Catania -, Piazza, Caltagirone e Noto - con dei bracci per i caricatori di Licata, Terranova, e il contado di Modica, e per Siracusa ed Augusta (17). L'onere di tale spesa per un importo di 24 mila scudi (9.600 onze) doveva ripartirsi tra il baronaggio, il clero e le università (Comuni) baronali e demaniali (18). Approvato il piano si decise di iniziare la costruzione della Palermo - Messina per le montagne, iniziando la costruzione contemporaneamente da Palermo e da Messina e nello stesso tempo di sistemare i passi di Taormina e di Castrogiovanni che avrebbero permesso intanto una certa viabilità interna, specie tra la piana di Catania e l'entroterra al momento percorribile con i carri. A questo progetto essenzialmente tecnico si oppose una parte consistente dei baroni i quali avevano interesse che la nuova strada servisse per raggiungere i caricatoi baronali della costa orientale così da permettere il rapido inoltro delle loro derrate verso i mercati esteri. I lavori vennero iniziati nel settembre 1779 da Porta Felice e vennero sospesi dopo sei sette miglia perchè la Deputazione del Regno si accorse che erano costati 75 mila scudi. Nel 1790 le strade già costruite si calcolano in 160 miglia; nel 1824 poco più di 250, così distribuite: 63 miglia la Palermo - Messina montagne, per altro bloccata tra Vallelunga e S. Caterina; La Palermo - Trapani era pronta per due terzi del suo percorso (49 miglia su 68), con alcune diramazioni per 17 miglia; La Palermo - Sciacca era costruita soltanto per un terzo (30 miglia su 89) mentre era stata ultimata la Palermo - Terrasini, con alcune diramazioni per miglia 30 circa. Inoltre erano state costruite: otto miglia tra Salemi e Marsala, quattro da Reitano verso il mare, quattro tra Canicattì e Campobello di Licata, uno tra Termini e Caccamo, uno tra Piazza e Terranova, quattro dal bivio Gigliotto a S. Michele, quattro intorno a Girgenti. Nel 1838 le strade carrozzabili ammontavano a 505 miglia (19). La tratta della Palermo Messina per le vie delle montagne, con il braccio per Catania; la Palermo Trapani; la Palermo - Corleone; la Palermo - Termini e altri tratti minori. Tra il 1839 e il 1852 sono ancora costruite strade per 447 miglia, e altre 307 lo saranno tra il 1852 e il 1860. I motivi che portarono a questa catastrofe "nazionale" di un paese che riesce a costruire dal 1780 al 1860 appena 1.260 miglia di strade sono molteplici e di natura economica, ambientale e politica. Basti pensare che in Inghilterra, tra il 1775 e il 1825, con il solo ricavato dei pedaggi, se ne costruirono oltre 20.000 miglia. Vi è una scuola di storici-economisti che affermano che la scarsità di traffico è la causa della mancanza di strade, le quali sarebbero state un lusso non richiesto e superfluo, e un investimento antieconomico (20). Vi sono altri che ritengono il problema stradale legato alla politica poiché eliminata la difficoltà delle comunicazioni "cangiarebbe d'aspetto il regno mirabilmente, l'educazione degli uomini si renderebbe più uniforme, e si toglierebbe l'enorme differenza che oggi divide la Nazione in una piccola parte colta, ripulita; e un'altra grandissima rozza, senza costume, senza industria e senza cognizioni. Gli uomini per lo più sono tali quali li vogliono coloro in cui mano sta che sieno di questa o quest'altra maniera (21)" Vi è certamente un problema economico che in assenza di cospicui traffici non permette che si costruiscano strade a un ritmo uguale a quello riscontrato negli altri paesi. D'altra parte, però, non si ritengono i traffici commerciali così assenti dalla Sicilia da giustificare nel 1860 una rete viaria inferiore a quella costruita dai romani. Vi è anche un problema politico di una classe dirigente - i baroni siciliani e il clero detentore di parecchie baronie - che vedono la costruzione di strade "un lusso non richiesto e un investimento antieconomico". Costoro sono in larga parte detentori di una rendita legata ad un ciclo produttivo consolidato e temono che le nuove strade apportino modifiche sostanziali al sistema economico isolano. L'economista Paolo Balsamo, autore di un volume dove annota vari prezzi di generi di largo consumo riscontrati in un suo viaggio da Palermo alla contea di Modica, rileva come tali prezzi sono differenti da un paese all'altro, anche vicino. È questa la causa di una tradizione dove i prodotti locali sono consumati nel villaggio o la contea dove sono prodotti, senza inviarli altrove dove magari si sente la loro mancanza. D'altra parte a questa tendenza "ambientale" se ne riscontra un'altra: tutti i generi posti in commercio, pane, carne, legumi, olio, persino la neve, venivano dati in gabella a persone che ne sfruttavano il monopolio e tendevano a usare i prodotti della città o del paese, senza curarsi di rifornirsi altrove, se non era estremamente conveniente. La mancanza di strade, ma non solo questo, impediva questi piccolo commercio "interpaesano" che sarebbe stata l'ossatura per la nascita di un settore commerciale che avrebbe potuto sfruttare le merci dei paesi vicini, e poi espandersi in misura maggiore col commercio interstatale. Esaminato il problema stradale, si passerà successivamente a fotografare il sistema postale. La strada di Capaci è la vecchia strada che utilizzano i Corrieri. Viene sostituita nel 1816 dalla nuova strada rotabile. Sulla nuova strada carrozzabile costruita "quasi in linea retta" si hanno seri dubbi o lapidarie certezze. L'estensore di questa guida ripropone la speranza, la fiducia, che presto le strade verranno costruite e quelle in costruzione completate. Speranza mal riposta. Per fare un esempio la Palermo – Messina via marine risulterà ancora da completare al passaggio dei poteri tra lo Stato Borbonico e quello Sardo, poi Italiano. Era ancora da terminare il tratto Acquedolci – Finale, assieme a un cospicuo insieme di strade e ponti. Ricercare i colpevoli è alquanto arduo in quanto la storia si ripeterà con la costruzione dell'autostrada Palermo – Messina ai nostri giorni. La Messina – Palermo via marine è di miglia 196 siciliane. La corsa da Messina a Catania è di miglia 61,172 siciliane. Nel 1830 l'Intendente di Catania comunica che anche questa strada carrozzabile è stata aperta al traffico. la corsa da Catania a Siracusa è di miglia 42 siciliane. Il percorso Siracusa Girgenti, secondo la strada dei corrieri. è di miglia 144 siciliane. Queste due località non erano collegate postalmente, se non attraverso Palermo. la corsa da Trapani a Palermo sarà di miglia 68 a strada finita. "si è aperta la comunicazione rotabile da questo capo valle con Palermo e Messina per mezzo di lunghi tronchi di strada che incontrano la consolare, una ad Adernò e l'altra al ponte Minessale sopra Diana e già molti carri da trasporto e molte carrozze li hanno replicatamente percorso". Comunicazione dell'Intendente di Catania del 24 maggio 1830 in Giornale dell'Intendenza borbonica di Catania, anno 1830. In viaggiatori inglesi in Sicilia nella prima metà dell'ottocento a cura di M.C.Martino edizione ristampe siciliane Palermo 1977. G.F.Angas, in viaggiatori inglesi in Sicilia nella prima metà dell'ottocento a cura di M.C.Martino edizione ristampe siciliane Palermo 1977. Henry Clark Barlow. Una escursione in Sicilia, Arnaldo Lombardi editore. Caltanissetta 1989. Henry Clark Barlow. Una escursione in Sicilia, Arnaldo Lombardi editore. Caltanissetta 1989. F.Burquelot Un mese in Sicilia.Fratelli Treves Milano 1873. Ristampa Edizioni Dafni Catania. Divisione in tratti delle strade consolari indicate dal Parlamento del 1778. Biblioteca Comunale Palermo Giornale dell'intendenza borbonica anno 1818. Storia della Sicilia vol.VIII. Il problema stradale sino all'unificazione. Afan de Rivera - considerazioni su i mezzi da restituire il valore proprio ai doni che la natura ha largamente conceduto al Regno delle due Sicilie, Napoli 1842. Storia della Sicilia volume VIII. Il problema stradale sino all'unificazione. G.A. De Cosmi. Alle riflessioni su l'economia e l'estrazione di frumenti della Sicilia comentario. Catania 1786 in Storia di Sicilia vol. VIII il problema stradale sino all'unificazione. 
Arabismi in Sicilia La conquista araba della Sicilia inizia ufficialmente nell'anno 827. Prima c'erano state numerose incursioni, fin dal lontano 652, e reiterati tentativi di conquistare la Sicilia, tutte fallite. La spedizione definitiva venne effettuata quando il ribelle bizantino Eufemio, li chiamò in aiuto. Alla guida della spedizione c'era un giurista settantenne, Asab ibn al-Furàt. La spedizione araba lasciò il porto di Susa il 14 giugno dell'anno 827 e dopo aver effettuato una sosta nell'isola dei conigli (Lampedusa) per rifornirsi di viveri ed uomini, sbarcò a capo Granitola presso Mazara tre giorni dopo, il 17 giugno. Le truppe di Asad, per la difficoltà dei luoghi e per lo scarso nutrimento soffrirono quanto e come gli assediati. La loro fu una conquista dura, Palermo la ebbero nell'831, perché stremata da una pestilenza, Messina nell'843, aiutati da truppe napoletane, Enna, da loro chiamata Kasr Jànna (da cui Castrogiovanni) fu presa nell'859, dopo un assedio tanto lungo che consentì agli arabi di coniar moneta. Le ultime a cedere furono Siracusa, nell'878, Catania, nel 900, Taormina nel 902 ed infine completarono l'occupazione con la caduta di Rometta nel Messinese. Correva l'anno 965. In Sicilia non ci fu un regno unitario arabo ma tante piccole signorie rette da "Kadì". Il comportamento degli arabi fu improntato alla tolleranza. Non perseguitarono i cristiani ma si accontentarono di far pagare loro una tassa la "gézia" consentendo la libertà di culto. Pochi infatti furono i tentativi di ribellione e vani furono i tentativi di riconquista da parte di Bisanzio, ricordiamo solo quello di Giorgio Maniace (dal 1038 al 1042) perché fra le sue truppe militavano anche, in qualità di mercenari, i Normanni che a breve, sarebbero riusciti a scalzare i musulmani dall'isola ed ad affermarvi la loro signoria. Gli Arabi divisero l'isola in tre grandi distretti amministrativi: il Val di Mazara che comprendeva la parte centro-occidentale, il Val Demone che comprendeva la parte settentrionale-orientale e il Val di Noto, per la parte meridionale. Dapprima la Sicilia fu sede di Emirato dipendente dalla dinastia tunisina degli Aghlabiti che la governarono con i loro emissari, poi divenne indipendente con una propria dinastia quella dei Fatimi. La popolazione era distinta in indipendente, che conservava i vecchi ordinamenti, tributaria, che pagava la gezia, vassalla o "dsimmi" che viveva soggetta ed infine i servi della gleba o "memluk". Durante i 200 anni della loro dominazione, gli Arabi portarono nell'isola la cultura, la poesia, le arti, le scienze orientali e abbellirono il loro regno con monumenti stupendi. Durante la loro permanenza gli Arabi diedero un notevolissimo apporto all'economia ed alla civiltà Siciliana: introdussero le colture del riso e degli agrumi, realizzarono opere di canalizzazione che consentirono l'uso razionale delle risorse idriche (cosa che oggi i nostri amministratori hanno "dimenticato"). Ancora oggi nella nostra lingua usiamo termini come "gebbia", la vasca di raccolta delle acque, "saja", i canali, "senia" ruota del mulino ad acqua, ecc. Furono incrementate le piantagioni di gelsi con conseguente impianto di manifatture per la seta. Svilupparono la piccola proprietà terriera, eliminando i latifondi, con opportuni provvedimenti fiscali, quale l'abolizione dell'imposta sugli animali da tiro. Durante la dominazione araba Palermo (Balarm in arabo) si distingueva per lusso e per ricchezza e si presentava con tutte le caratteristiche di una città orientale. Divenne una capitale mediterranea Si contavano più di 300 moschee (così riferisce nel 973 Ibn Hawqal, viaggiatore arabo dell'epoca normanna ) ed una popolazione di oltre 250.000 abitanti, quando a Roma o Milano non c'erano più di 20 o 30.000 anime. La Sicilia tutta era piena di industrie e di commerci, come ci rendono conto i viaggiatori Ibn Gubayr, Ben Idrisi e lo stesso Ibn Hawqal. Era il giardino del mediterraneo. In Sicilia gli arabi favorirono la nascita di una ricca cultura, sia nelle scienze che nella letteratura. Uno tra i migliori poeti arabi siciliani è Abu al-Hasan che visse in Sicilia, tra la fine dell'XI e il XII secolo. Egli cantò l'amore e la bellezza del creato come doni di Allah. Nei suoi versi si trova anche una vena di tristezza per la sorte della sua patria, la Sicilia, che stava per cadere nelle mani dei Normanni. Sarebbe bello poter leggere "La storia araba di Sicilia" di Ibn Kalta, o gli scritti di Ibn Hamdis di Noto, entrambi scrittori arabo-siculi, di cui molti testi sono andati perduti. I ricordi più importanti che testimoniano la presenza araba in Sicilia purtroppo non sono quelli né quelli letterari né quelli architettonici. Non ci rimane alcuna Moschea, perché trasformate in chiese cristiane, e lo stesso Alkazar (l'attuale Palazzo dei Normanni di Palermo), non lascia più riconoscere la parte costruita dagli Arabi, e ben poco di altri monumenti di quell'età è giunto fino a noi; ma quanto rimane - parti di una moschea incorporata nella chiesa di S. Giovanni degli Eremiti; parti di castelli incorporati, come in quello della Zisa, o della Favara, e negli ampliamenti successivi in epoca normanna o la struttura del vecchio quartiere arabo di Mazzara, o le terme di Cefala Diana - è sufficiente per documentare la continuità della tradizione araba in Sicilia. Ma quanto ci manca d'architettura è fortemente rimpiazzato nella storia linguistica della Sicilia. Numerosissimi toponimi: Caltanissetta, Caltagirone, Caltavuturo, ecc, derivano il loro nome da "Kalat", castello; Marsala, Marzameni, da "Marsha", porto; Gibellina, Gibilmanna, Gibilrossa, da "gebel", monte; Racalmuto, Regalbuto, da "rahal", casale e così via. E poi abbiamo anche termini commerciali come: funnacu (fondaco), tariffa, sensale; termini agricoli come fastuca (pistacchio), zagara (i fiori dell'arancio o del limone), zibibbu (una varietà di uva), giggiulena (sesamo); vocaboli come "calia" (ceci abbrustoliti) "giurana" (rana), "zotta" (frusta); o cognomi come Badalà o Vadalà (servo di Allah) Fragalà (gioia di Allah) ecc. Nella cucina, dal cuscus alla cassata, alle arancine. Tutta la nostra cucina ha una forte impronta araba che si riconosce nell'uso delle spezie, dello zucchero e dei profumi. Inoltre, antichi riti di magia, credenze popolari, come le "truvature"; scongiuri e pratiche di fattura che derivano direttamente dal fondo dell'anima araba della Sicilia, come giustamente annota l'etnologo Giuseppe Pitré. Per strano che possa sembrare sedici secoli di ellenismo sono stati quasi annientati dall'arabismo che in soli due secoli è riuscito a lasciare una forte impronta che né Normanni, né Svevi, né Spagnoli o Francesi e per ultimo i piemontesi sono riusciti a cancellare. Questo può significare una cosa sola: la dominazione araba non fu mero dominio ma integrazione con i popoli autoctoni e dovrebbe essere da esempio.

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