IL GRANO DURO DELLA SICILIA - UNA STORIA MILLENARIA

Carovana di muli che trasportano il grano appena ricavato dalla trebbiatura


Oggi sfida le multinazionali tornando all’antico. Una coraggiosa e diversa scelta di difendere il “made in Italy”, schiacciato dal mercato globale, frenetico ed autoritario.
Dalla tumilìa al russello al senatore cappelli. La moda del biologico fa riaffiorare nomi scomparsi. Un rimando all’ancestrale Sicilia contadina, al granaio dell’Impero romano.
“È dal 2000 che produco grani antichi – dichiara a ilGiornale.it Silvia Sillitti, produttore – ho ripreso il lavoro di mio padre”. “ L’iniziativa è nata da singoli agricoltori che, producendo biologico, con il passaparola hanno cercato varietà di grano idonee – dichiara a ilGiornale.it, Ettore Pottino, produttore, anche lui.
All’associazione “Simenza”, invece, hanno aderito settanta produttori e il numero cresce.
“Parliamo di massima qualità e sicurezza alimentare. È un grano che fa bene, estremamente salubre con il giusto tenore di proteine e glutine. – continua Pottino - Il chicco è di un rosso cristallino, vitreo senza nessuna bianconatura con qualità che sono apprezzate dal mercato. Rispetto al grano più comune ha un prezzo più alto anche se la produzione è inferiore.”
Si tratta di semi fuori dal mercato perché “il mercato richiede maggiore produzione e una qualità minore del prodotto” come dice Pottino.
“I valori contenuti in quei semi (come glutine e proteine) sono bilanciati. Per questo fanno meno male e sono di maggiore qualità. Le produzioni, però, sono dimezzate rispetto a quelle moderne: c’è uno squilibrio dei prezzi. Nonostante i mugnai promuovano molto la farina di grano tipico siciliano o antico, non si riesce a dare il giusto valore per il lavoro che c’è dietro. Per il produttore prezzi bassi, troppo alti per il consumatore” dichiara Sillitti. Si dovrebbe, insomma, provare un punto di equilibrio tra domanda e offerta.
Circa un migliaio gli ettari utilizzati per i grani antichi. Le piante sono “esteticamente più belle” e alte circa un metro e cinquanta. “ Essendo più alte – aggiunge Pottino - controllano meglio le infestanti che, rimanendo senza luce non possono raggiungere l’altezza del grano” che rimane, quindi, intatto nella sua purezza. E torna a rendere suggestivo il paesaggio delle campagne siciliane.
“C’è un grosso problema, però, che riguarda le varietà antiche. Per la legge italiana si possono commercializzare – dice ancora Pottino - i grani iscritti al registro delle varietà. Ma tra queste non ci sono quelle antiche cadute in disuso. Gli agricoltori si sono scambiati il seme compiendo di fatto un illecito: è come se fossimo contrabbandieri. Perché da un punto di vista commerciale si può riseminare il grano già prodotto, ma i semi non si possono vendere ad altri perché siano riseminati. Questi grani erano stati quasi dimenticati perché non iscritti al registro nazionale delle varietà di grano dell’Ense (Ente nazionale sementi elette). Ora in Sicilia si sta lavorando per un registro delle varietà di grani antichi che dovrebbe essere tenuto dall’Istituto del vino e degli oli per rimettere in modo legale sul mercato questa varietà riapparsa e che ha bisogno di un’ovvia regolamentazione.”
“Sono fermamente convinta – torna a dichiarare Silvia Sillitti - che sia necessario aumentare i controlli sulle superfici dove sono coltivati i grani antichi per attestarne la veridicità con una mappa genetica precisa che l’istituto di granicoltura stila pur non essendoci ancora un registro nazionale. Credo che in questo senso l’associazione Simenza si stia muovendo. Bisogna abbracciare la genetica del chicco e avvalersi dei laboratori delle università.”
Maggiore ricerca e legalizzazione del prodotto. È questo che chiedono i produttori rivolgendosi a un ventaglio di consumatori sempre più attenti alla loro dieta e alla provenienza di ciò che arriva sulla loro tavola.
Un tipo di prodotto alternativo, quello dei grani antichi, di grande qualità. Senza l’anonimato della produzione imposta dal mercato globalizzato. Tracciabilità del grano e l’identità del territorio. Un moto di orgoglio per i piccoli produttori e sonni tranquilli per i consumatori.
“I pastifici, per le esigenze delle grandi aziende, chiedevano un grano con un contenuto di glutine più alto perché è più elastico e quindi più idoneo da pastificare. Le ditte sementiere e non solo, hanno così creato in laboratorio un grano ad hoc aumentando il glutine o altre caratteristiche – ha continuato Sillitti – e per questo oggi ci sono così tante intolleranze”. Maggiore quantità di glutine non permette al corpo umano di assorbire il cibo e digerire in modo sano.
“Inoltre – dichiara, infine, Sillitti - l’oncologo milanese Berrino sostiene che la farina “00” sia un veleno autorizzato. Nell’intestino fa l’effetto colla ed è un’infiammazione costante che il corpo riceve. Meglio la farina integrale”.
Il grano antico è ancora “di nicchia”, ma cresce la sua presenza nei prodotti che arrivano nelle case italiane.
Tutelare il corpo e la tavola, rispolverando storia, natura e tradizione.

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